Se l’informazione si limita a segnalare la “violenza”, gli scontri tra manifestanti e polizia senza spiegarne le ragioni fa solo un servizio al sistema.


imagesDa sempre il popolino  è infastidito per scioperi o manifestazioni che non lo toccassero direttamente, quante volte abbiamo sentito lamentele sui disagi di uno sciopero al grido di: io devo andare a lavorare ed i mezzi non vanno.
Ognuno pensa ai fatti suoi e non guarda oltre al metro davanti a se.
L’informazione ci sguazza, vengono messi in risalto gli scontri, enfatizzati, coltivando lo sdegno di chi osserva senza sapere, conoscere, toccare le motivazioni.
Si mette a fuoco, eufemismo, il cassonetto bruciato e non le ragioni che hanno spinto alla protesta migliaia di studenti, lavoratori, disoccupati, famiglie che hanno perso la casa.
Se non fosse per il fatto che, ogni tanto, nelle foto che riprendono gli scontri tra forse dell'”ordine” e manifestanti si intravvede uno striscione con la sintesi della protesta non sapremmo mai perchè e percome sono scesi in piazza.
Siamo scesi in piazza.
Se solo le forze dell’ordine conoscessero le ragioni dei manifestanti non escludo che manifesterebbero pure loro, certamente hanno dei familiari, parenti, amici che sono toccati dai temi che portano alla contestazione.
Per capire si attenderà la rivolta anche se è ancora presto, per la rivolta. La strategia del sistema per contenere la “pace sociale” è astuta e divide il popolino in fasce protette, o comunque non comunicanti, utili a fare da scudo alla borghesia parassita che ci ha ridotti in queste condizioni.
15% di dis0ccupati, 25% di precari, 25% di poveri presi dalla sopravvivenza
, 25% di occupati fanno da scudo e filtro al 10% di italiani che detengono il 47%, ed oltre, della ricchezza nazionale.
Nella scuola privata vicino a casa mia, che ha delle rette più alte dello stipendio di un precario, si parla solo di feste e di dove si andrà nel prossimo ponte e quando c’è uno sciopero che intralcia il loro muoversi con il Suv partono subito le lamentele, si indignano, tanto loro il problema della casa non l’avranno mai. Sono coperti e per la solidarietà con il povero bastano gli sms o la messa della domenica.
Hanno scelto la scuola privata, sostenuta dalle nostre tasse, per non avere problemi di sciopero. Le suore non scioperano ed una di quasi 80 anni può guardare 40 bambini senza che nessuno faccia una piega. Ma solo per un’ora, poco più. Se succedesse in una scuola pubblica sarebbe uno scandalo.
Negli ultimi anni la fascia di povertà si è ampliata, ha toccato anche quello che una volta era il “ceto medio” basti pensare ai bancari e non solo loro.
Ma finchè si saranno le fasce protettive, create ad arte, eliminando la lotta di classe che univa tutto o quasi il proletariato in genere, almeno quello illuminato, avranno la partita in pugno, è come se partissero con due rigori in favore.
L’importante è che si suoni la grancassa sugli scontri, sul cassonetto che brucia, sulla vetrina infranta e non si faccia sapere al cittadino medio e teledipendente le ragioni della protesta.
Un manifesto degli studenti diceva: Scuola pubblica fa paura come tutta la cultura.
E’ la sintesi che spiega la ragione per cui l’informazione non informa, indica il dito e non la luna.
Parliamo tanto degli scontri ma, attenti, a non spiegare le ragioni.
Dobbiamo affidarci al passaparola.
I sindacati sono più presi ad organizzare il servizio d’ordine che a far conoscere le motivazioni dello scipero, della manifestazione.
Il loro orgoglio è poter dire, dopo: avete visto quanto siamo stati bravi? Non abbiamo rotto nessuna vetrina di una banca, solo un po’ di spray.

Una Risposta

  1. Una volta i bravi di Don Rodrigo dissero “Quel matrimonio non si ha da fare”. Secoli di progresso hanno portato pochi cambiamenti. Lo stand che ha dovuto spostarsi (quando era già montato) dalla posizione prevista da mesi al Salone del Gusto edizione 2012 è quello del Consorzio salvaguardia del Bitto storico. A quelli del Consorzio del Bitto e Casera dop o del Multiconsorzio delle Dop e Igp valtellinesi che lo comprende non andava giù ,di dover guardare negli occhi i “ribelli del Bitto”, sostenitori della tradizione, resistenti alla omologazione industriale. Non se la sentono di reggere il confronto. Così hanno fatto pressioni su Regione Lombardia DG agricoltura (che pagava lo stand istitruzionale dove detti Consorzi istituzionali erano ospitati). La quale ha fatto pressione su Slow Food il quale ha comunicato ai “ribelli” che se non sloggiavano dal loro posto lo stand della regione Lombardia si ritirava. Una storia deprimente. Il nome del bravo che ha fatto la telefonata all’organizzazione di Slow Food non è saltato fuori e non salterà forse mai fuori. La vergogna che ricade “diluita” e “anonima” sulle istituzioni e organizzazioni brucia meno. Avanti così. Paolo Ciapparelli, il guerriero del Bitto, ha così commentato: io ci metto sempre la faccia, nel bene e nel male. È ora di finirla che cert signori si nascondono dietro le istituzioni. E ha nominato Renato Ciaponi e Marco Deghi quali mandanti. Ovviamente il Multiconsorzio, a nome del Consorzio, delle Latterie ecc. ecc. (più fai ombrella e più ti pari le terga) ha smentito. Almeno il Multiconsorzio si è preso la briga di smentire. Regione Lombardia muta. Slow Food ha chiesto rettifiche alla stampa locale che ha parlato senza mezzi termini di Bitto declassato e di Bitto frattato dicendo che la decisione è stata presa d’accordo con Ciapparelli e che non ha penalizzato il Bitto. Vero. Ma su chi e perché ha fatto pressione Slow Food non dice nulla. Perché?

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